Comunicato - La libertà fa paura!
La libertà fa paura. Fa paura soprattutto alla Chiesa di Roma, che ancora una volta, per bocca di Leone XIV, si arroga il diritto di parlare al posto delle coscienze, di invocare il suo anno giubilare appellandosi alla virtù della speranza, là dove c’è vita, fragilità e dolore. Ma la vita reale – quella che pulsa nel corpo che soffre e nella mente che vacilla – non è un "catechismo" e neanche un fantomatico giubileo creato per incatenare le persone al concetto di peccato e alla vendita delle indulgenze. La vita è relazione, è mistero, è libertà.
La libertà di autodeterminarsi fino alla fine è scomoda. Lo è per chi concepisce l’essere umano solo come creatura passiva, da guidare, da redimere, da controllare. Ma la scelta è ciò che ci rende veramente liberi: essa ci costringe a uscire da noi stessi, ad incontrare l’Altro. Ed è proprio lì, in quell’incontro, che si rivela il volto autentico di Dio – non nel potere, non in una chiesa istituzionalizzata, non nel dogma, ma nella compassione e nella vicinanza.
Eppure, davanti alla morte, la Chiesa di Roma non contempla l’ascolto, ma solo il divieto. E lo fa paradossalmente nel nome di Dio. Ma quale Dio? Non certo il Dio biblico delle relazioni, non il Dio che si è fatto carne per abitare il dolore umano, non il Dio che prega nell’orto degli ulivi. Quello che la Chiesa di Roma impone è un Dio astratto, impermeabile, lontano dalla gente, che parla attraverso encicliche e condanne. È un Dio senza volto, che si oppone perfino all’ultima libertà dell’uomo: quella di morire con dignità. È il dio della legge dell'uomo, quello costruito dai sacerdoti del tempio e dai farisei, condannati più volte da Gesù stesso.
La morte non è un istante. È un processo che ci accompagna. Entra nelle nostre vite attraverso il dolore, spesso subdolo, onnipresente, silenzioso. Quando il dolore spegne ogni relazione, quando ci ruba l’esperienza della vita, allora la morte ha già vinto. È allora che la libertà diventa una forma di resistenza. È allora che l’eutanasia e il suicidio assistito non sono negazioni della vita, ma affermazioni del diritto a viverla, finché vale la pena, finché è nostra.
Per questo è inaccettabile che un vescovo possa arrogarsi il diritto di imporre la sofferenza come destino inevitabile. È una violenza travestita da pietà. È idolatria della legge, non è amore.
Chi crede davvero, chi ama davvero, non teme la libertà dell’altro, anche quando questa porta a scegliere la fine, nel momento in cui non esiste più la vita biologica ed esistono le macchine. Perché per chi crede la morte non è un’uscita dal mondo, ma un ritorno, è risurrezione. Non è una sconfitta, ma un abbandono all’Amore di Dio. Ed è per questo che ogni persona deve poter scegliere come e quando fare questo passo. Non per disperazione, ma per fiducia in quel Dio di amore e di umanità in cui i cristiani credono.
Ufficio Stampa
Chiesa Vetero Cattolica Riformata