Giuseppe Girotti - Un Uomo di Fede tra le Ombre della Storia
Nel cuore del Novecento, un secolo lacerato da guerre, dittature e genocidi, esistono figure silenziose che hanno attraversato l'oscurità portando una luce discreta, eppure incrollabile. Tra queste, il nome di Giuseppe Girotti risplende come un segno di speranza — un uomo di fede, studioso delle Scritture, che scelse di vivere il Vangelo fino all'estremo, in tempi in cui farlo significava sfidare il potere, il conformismo e persino la morte.

Giuseppe Girotti nacque il 19 giugno 1905 a Cuneo, in Piemonte, in una famiglia cattolica, e visse una vita dedicata alla fede, alla cultura e al servizio del prossimo. Era figlio di una famiglia umile e lavoratrice e, sin da giovane, mostrò una profonda passione per lo studio, che lo portò a iscriversi all'Università di Torino dove si laureò in Filosofia. Il suo impegno culturale lo spingeva a essere anche un docente, che cercava di comprendere il mondo attraverso la sua fede cattolica. La sua formazione teologica e filosofica gli permise di entrare in sintonia con le grandi questioni morali e sociali del suo tempo, e la sua solidarietà umana lo indirizzò verso un impegno concreto per la giustizia. Nel 1930, a soli 25 anni, entrò nell'Ordine dei Frati Predicatori (Domenicani) e, dopo un periodo di formazione a Roma e Gerusalemme, divenne professore di Esegesi e Antico Testamento presso lo Studio teologico domenicano di Torino. A contatto con la terra dei profeti, maturò un amore profondo per il popolo ebraico, che lo accompagnò per tutta la sua vita. Non era un predicatore famoso, né un attivista, ma la sua visione teologica lo portò a prendere posizione contro le atrocità che si stavano perpetrando durante la Seconda Guerra Mondiale.

Non era un predicatore famoso, né un attivista. Era un uomo schivo, austero, che viveva con semplicità, eppure con profondità. Ma fu proprio la sua visione teologica — centrata sulla Parola che si fa carne, sulla giustizia dei profeti e sulla dignità dell’uomo — a portarlo a prendere posizione quando il mondo intorno cominciò a crollare. Nel 1938, con l’introduzione delle leggi razziali fasciste, iniziò la discriminazione sistematica degli ebrei italiani. A partire dal 1943, con l’occupazione nazista dell’Italia settentrionale e la nascita della Repubblica Sociale Italiana, la situazione precipitò: cominciarono i rastrellamenti, le deportazioni e le delazioni. In quel contesto di orrore, Giuseppe Girotti scelse di non voltarsi dall’altra parte, a differenza di altri alti prelati cattolico-romani. Le leggi razziali fasciste avevano già escluso gli ebrei dalla vita sociale e civile, ma fu l'occupazione tedesca che segnò l'inizio della persecuzione sistematica, con deportazioni sempre più numerose verso i campi di concentramento e sterminio nazisti.Giuseppe, fortemente mosso dalle sue convinzioni morali e cristiane, non esitò a mettere in pratica la sua fede, scegliendo di agire per salvare gli ebrei dalla deportazione. Con l’aiuto di reti clandestine e famiglie fidate, nascondeva gli ebrei, li aiutava a fuggire da Torino e li metteva in contatto con altre persone disposte a dare loro rifugio. Lo faceva senza clamore, senza aspettarsi riconoscenza, con la naturalezza di chi sa che l’amore di Dio non ha confini etnici o religiosi. Diceva spesso: 

"Tutti i miei studi mi hanno portato ad amare sempre più il popolo ebraico". 

Le sue azioni non erano solo coraggiose, ma rappresentavano un atto di resistenza morale contro le forze oscure della storia, mettendo a rischio non solo la sua vita, ma anche quella di chi lo aiutava. Giuseppe, pur non cercando la gloria, si distinse per la sua capacità di organizzare veri e propri piani di fuga per gli ebrei, creando una rete di solidarietà che sfidava il regime nazista. La sua opera si estendeva non solo a Torino, ma anche ad altre zone del Piemonte. Capiva che un rifugio temporaneo non bastava: bisognava garantire alle vittime un'opportunità concreta di scampo.

Il 29 agosto 1944, a Torino, Giuseppe Girotti fu tradito da una spia e arrestato dalla Gestapo. Era pienamente consapevole dei rischi, ma non tentò di fuggire. La sua risposta fu il silenzio e la dignità. Dopo giorni di interrogatori, fu rinchiuso nel carcere Le Nuove, poi trasferito nel campo di Bolzano e, infine, nel febbraio 1945, deportato nel famigerato campo di concentramento di Dachau, in Germania, dove migliaia di preti e religiosi furono imprigionati e sterminati. Nonostante le dure condizioni di vita, Giuseppe divenne un punto di riferimento per i suoi compagni di prigionia. Condivideva il cibo, curava i malati, pregava in silenzio. Un compagno di prigionia lo ricordò con queste parole:

"Sembrava non soffrisse per sé, ma solo per gli altri. Era un raggio di luce in un mondo disumano"

La sua dedizione non si fermò nemmeno di fronte alla morte. Il 1° aprile 1945, Domenica di Pasqua, il suo nome fu chiamato nell'infermeria del campo. Gli venne somministrata un'iniezione letale, mettendo fine alla sua vita terrena a poche settimane dalla liberazione del campo.

Per anni, il suo nome restò quasi sconosciuto. Ma i testimoni lo ricordarono. Gli ebrei salvati ne tramandarono la memoria. NNel 1995, lo Yad Vashem di Gerusalemme lo riconobbe come "Giusto tra le Nazioni", un titolo riservato a coloro che hanno rischiato la propria vita per salvare gli ebrei durante l'Olocausto. Solo nel 2014, la Chiesa di Roma riconobbe il suo martirio "in odium fidei", cioè in odio alla fede. Oggi, Giuseppe Girotti è un simbolo silenzioso e potente. La sua teologia non rimase chiusa nei libri: divenne carne, scelse il bene anche quando costava caro. In tempi di propaganda, fu voce libera. In tempi di persecuzione, fu mano tesa. In tempi di odio, fu custode della fraternità. E in tutto questo, fu profondamente umano.

(Questo contenuto è di proprietà della Chiesa Vetero Cattolica Riformata)


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