Quella violenza contro giovani disarmati - Elena Lowenthal

«Ma cosa fai? Meni i ragazzini?!» Ieri a Torino c'erano sicuramente anche infiltrati, agitatori di professione, gente pronta a fomentare una violenza che poco o niente ha a che vedere con la legittima protesta entro i confini di una libera democrazia che tale è se fa vivere anche il dissenso. Però quelle filmate durante la manifestazione che ha, si fa per dire, accolto la premier Giorgia Meloni in visita a Torino in occasione del festival delle Regioni e delle Province autonome, sono scene tristi e fanno riflettere. «Ma cosa fai? Meni i ragazzini?! Guarda che ti sto filmando!», urla la voce da dietro il telefono al poliziotto che sta caricando i manifestanti in tenuta antisommossa, con casco schermato, giubbotto, manganello, lacrimogeni, scudo. E l'antagonista di quel momento è davvero un ragazzino: folta chioma scura, statura ancora da crescere, corsa impacciata – e spaventata.
La sicurezza è un bene primario, e di tutti. E la difesa di tutti noi, non solo della presidente del consiglio e delle autorità presenti ieri a Torino, è nelle mani delle forze dell'ordine: perciò rispettarle è un dovere comune. Ma la disparità che ha segnato alcuni momenti delle manifestazioni di ieri è tanto lampante quanto problematica, e lascia aperta una domanda ineludibile: non si poteva fare ed essere altrimenti? Non esiste una via diversa per controllare le proteste ed evitare che a segnare giornate critiche come quella appena trascorsa a Torino restino immagini del genere?
Perché assistere a un tale dispiegamento di forze di fronte a manifestanti così impari (certo, non erano tutti così, ma ormai non si può non tenere conto del fatto che quel che resta e anche quel che conta degli eventi è ciò che passa per la videocamera di un telefono sfoderato sul momento) desta riflessioni tanto inevitabili quanto imprevedibili. Perché se il primo pensiero è «c'era proprio bisogno di un dispiegamento di forze del genere?», subito dopo sorge il dubbio che questa manifestazione di forza venga a schermare un'incertezza, una sorta di inermità armata. È difficile, se non impossibile capire a priori che piega prenderà la protesta, quanto sia improvvisata e non invece pianificata passo dopo passo, con una competenza da professionisti. È difficile, se non impossibile, stabilire quanto una manifestazione sia organizzata e nelle mani di chi cerca lo scontro, lo sfogo di violenza.
Ma scene come quelle passate attraverso le videocamere dei telefonini ieri sono davvero difficili da digerire e ancor meno da comprendere. Non è giusto, non è logico, non è guardabile quell'accerchiamento di un ragazzino, con i manganelli che si muovono, i caschi schermati che nascondono i volti dei poliziotti mentre fanno quello che sono chiamati a fare per mestiere, e cioè tutelare la sicurezza di tutti noi. E invece diventano, loro malgrado, il volto di una violenza impari, di un'ingiustizia incapace di guardare il prossimo e riconoscervi un ragazzino adolescente, disarmato. Le scene di ieri sono dunque un'ingiustizia ai danni tanto dei manifestanti che protestavano in nome di una pacifica democrazia (ferma restando la presenza di quelli che lo facevano con intenti diversi e violenti), quanto di quelle forze dell'ordine che questa nostra democrazia difendono giorno per giorno, armati o meno. —

Fonte: La Stampa, 4 ottobre 2023
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