Casparus Johannes Rinkel (2 maggio 1826 – 2 maggio 1906) è stato uno dei protagonisti più influenti nella storia della Chiesa vetero-cattolica dei Paesi Bassi, e più in generale del movimento vetero-cattolico europeo. Vescovo di Haarlem, noto teologo e instancabile promotore dell’autonomia ecclesiastica, Rinkel contribuì in modo decisivo alla nascita e allo sviluppo dell’Unione di Utrecht, organismo che ancora oggi rappresenta il cuore pulsante del vetero-cattolicesimo.
In un tempo in cui le Chiese si piegavano al potere, in cui le coscienze venivano ingabbiate dai dogmi, e in cui l’autorità parlava spesso senza ascoltare, un uomo semplice, nato tra i campi fioriti d’Olanda, scelse la via più difficile: quella della fedeltà al Vangelo, anche quando significava dire “no” a Roma. Il suo nome era Casparus Johannes Rinkel. Non era un rivoluzionario nel senso classico. Non alzava la voce, non amava i titoli. Ma fu un pastore con una visione limpida, e un cuore capace di accogliere. Un uomo che seppe custodire la tradizione, senza diventare suo prigioniero.
L’inizio: un ragazzo dell’acqua e dei fiori
Casparus nacque il 2 maggio 1826 ad Aalsmeer, una cittadina olandese circondata da canali e giardini, famosa per i suoi vivai e i suoi fiori. Era figlio di Johannes Lambertus Rinkel e Gijsberta Wilhelmina van der Poll, gente semplice ma devota, che gli trasmise sin da piccolo l’amore per Dio e il senso della responsabilità. Il giovane Rinkel non era uno di quelli che si fanno notare per forza. Aveva un temperamento tranquillo, ma uno sguardo attento, curioso. Gli piaceva leggere, camminare nella natura, ascoltare le storie degli anziani. A dodici anni, entrò nel seminario di Amersfoort, uno dei cuori della formazione della Chiesa vetero-cattolica olandese. In quei lunghi anni di studio e preghiera, cominciò a formarsi in lui un’idea di Chiesa che non avrebbe più lasciato: una Chiesa vicina alle persone, sobria, comunitaria, più madre che maestra.
Il prete tra la gente
Fu ordinato sacerdote nel 1851, a 25 anni. I primi anni li passò come cappellano a Utrecht, ma il suo ministero fiorì davvero quando fu inviato a Krommenie, dove rimase parroco per più di vent’anni. Chi lo conobbe allora lo descriveva come un uomo gentile, riservato, ma profondamente presente. Camminava spesso a piedi per visitare gli anziani, ascoltava con pazienza le confessioni, accompagnava i ragazzi all’altare con una tenerezza che commuoveva. Non era un uomo da pulpito, ma da casa in casa. Parlava poco, ma diceva molto. Non imponeva regole, ma testimoniava la fede con il modo di vivere.
La chiamata: un vescovo diverso
Nel 1873, quando ormai era entrato nella maturità, accadde qualcosa di inaspettato: fu eletto vescovo di Haarlem. All’epoca, essere un vescovo vetero-cattolico nei Paesi Bassi significava muoversi su un crinale difficile: da una parte la fedeltà alla tradizione, dall’altra la crescente tensione con Roma, che stava centralizzando sempre di più il potere spirituale. Ma Rinkel accettò. Non per ambizione – ne era privo – ma per senso del dovere. E lo fece a modo suo: senza clamori, senza retorica, con la stessa umiltà con cui aveva celebrato la prima Messa. Ricevette la consacrazione episcopale l’11 agosto 1873, da parte del vescovo Hermann Heykamp, e si mise al servizio della sua diocesi con un’idea chiara: la fede non è un dogma da difendere, ma una relazione da vivere.
Un vescovo con la schiena dritta
Il suo episcopato coincise con uno dei momenti più tesi della storia della Chiesa cattolica. Nel 1870, il Concilio Vaticano I aveva proclamato il dogma dell’infallibilità papale: una dottrina che, secondo Rinkel e molti altri, rompeva l’equilibrio secolare tra le Chiese locali e la Chiesa universale. Rinkel non gridò allo scandalo, non organizzò proteste. Ma si oppose con decisione, perché la sua coscienza gli diceva che quel passo andava contro lo spirito del Vangelo. Non era un ribelle, ma un credente che aveva a cuore l’integrità della fede.
Nel 1889, insieme ad altri vescovi europei, firmò la Dichiarazione di Utrecht, un documento che sanciva i principi fondamentali della Chiesa vetero-cattolica: niente infallibilità papale, niente dogmi imposti senza consenso, niente autoritarismo. Solo il Vangelo, la collegialità dei vescovi, la centralità dei sacramenti. Fu un gesto che richiedeva coraggio. Ma Rinkel lo compì con serenità, quasi con naturalezza. Come si fa quando si sa di stare dalla parte giusta.
Nonostante il suo ruolo internazionale, Rinkel non dimenticò mai il volto della gente. Continuava a visitare le parrocchie, a parlare con i fedeli, a insegnare la dottrina non come imposizione, ma come cammino condiviso. Si racconta che spesso arrivasse a piedi, senza scorta, in piccole chiese di campagna. Celebrava in olandese, con semplicità, senza pompa. E le sue omelie erano brevi, ma piene di vita: parlava di Dio come di un amico, di Gesù come di un fratello. Era convinto che una Chiesa vera si costruisce sulle relazioni, non sulle gerarchie. E questa idea si diffuse grazie a lui, anche oltre i confini olandesi.
L’ultimo atto: tramandare la fiamma
Nel 1892, Rinkel compì un altro gesto fondamentale per il futuro della Chiesa vetero-cattolica: consacrò Gerardus Gul come arcivescovo di Utrecht. Era un passaggio cruciale per mantenere la successione apostolica, cioè il legame spirituale e sacramentale che fa di ogni vescovo il successore degli apostoli. In quel gesto non c’era solo una formalità, ma un’eredità viva: la trasmissione di un sogno, di un modello di Chiesa, di un modo umano e profondo di credere. Morì il 2 maggio 1906, nel giorno del suo ottantesimo compleanno. Fu sepolto con semplicità, come visse. Nessun monumento, nessun trionfo. Ma in molti, nei Paesi Bassi e in Europa, lo piansero come un padre spirituale, un uomo di coscienza, un vescovo che non tradì mai se stesso.
Perché oggi ci parla ancora?
La storia di Casparus Johannes Rinkel non è solo una vicenda del passato. È un promemoria per il presente. In un mondo che spesso confonde autorità con autoritarismo, fede con obbedienza cieca, e tradizione con immobilismo, lui ci ricorda un’altra strada. Una Chiesa che ascolta, che discute, che rispetta le coscienze. Una fede che non impone, ma propone. Una spiritualità che non divide, ma unisce. E forse è proprio questo il miracolo più grande di Rinkel: aver mostrato che si può essere fedeli e liberi, cattolici e critici, tradizionali e coraggiosi, senza perdere l’anima.
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