V DOMENICA DI QUARESIMA – ANNO B
Commento di p. Franco Barbero al Vangelo: Gv 12,20-30 - Innamorarsi di Gesù di Nazareth
Letture pericolose
Quando si leggono i discorsi del Vangelo di Giovanni ci si incontra con un linguaggio a scala a chiocciola, a spirale. Sembra di salire su una montagna con una lunga strada a tornanti. Se non stai attento ti prende il capogiro e fai capitombolo uscendo di strada. Nella consueta retorica manualistica si dice che questo è il “Vangelo sublime”. In realtà, se non si presta molta attenzione ad usare adeguati strumenti di interpretazione, il linguaggio giovanneo ci può anche portare assai lontano dalla realtà e dal messaggio del Gesù ebreo. Una lettura ingenua o manipolata del Vangelo di Giovanni ha permesso di farne la colonna d’appoggio di alcune formulazioni dogmatiche ripetute in modo monotono e acritico. In realtà in Giovanni troviamo una costruzione teologica che in forma letteraria è molto diversa dai sinottici, vuole “esaltare” la funzione di Gesù. “La presentazione giovannea di Gesù è continuamente stupefacente” (R. Kysar). Il Vangelo di Giovanni, volendo “intensificare la straordinarietà delle opere di Gesù” (R. Kysar), lo avvolge in una luce che rischia di cancellare la realtà storica del nazareno. Il linguaggio celebrativo dell’amore è comprensibilmente enfatico e spesso contaminato da accenti gloriosi. È innegabile qualche vistoso cedimento alla tentazione della gloria che va letto all’interno di questo particolare “codice linguistico”, che mette sulla bocca del maestro di Nazareth un linguaggio che mai e poi mai avrebbe potuto uscire dalla bocca del profeta di Galilea. Ma il grande pregio di questo linguaggio, ricco di risonanze apologetiche e non esente da tratti ideologici, consiste nell’orientarci appassionatamente verso Gesù, per farci valutare con attenzione e accogliere con gioia il dono della sua testimonianza e del suo messaggio. Egli è tutto orientato verso Dio.
Se il grano di frumento...
Questo notissimo passo giovanneo non ha certo l’intento di indurci alla macerazione di noi, come certe devianti interpretazioni misticheggianti hanno proposto per secoli. La direzione è ben altra. Gesù stesso, come seminatore appassionato e perseverante dei semi del regno di Dio, aveva evitato e disertato ogni ricerca del successo. La sua pratica di vita conosceva bene la distanza che esiste tra stagione della semina e tempo del raccolto. Egli conosceva i ritmi della campagna, i tempi del grano e la sua “gestazione-germinazione” nel cuore della terra. Alla luce di questa “avventura” del chicco di frumento la comunità giovannea rilegge e interpreta il significato della “storia” e della intera vicenda di Gesù e la applica a se stessa. Ne emerge un messaggio pieno di realismo e di fiducia: dobbiamo saper vedere, nel cammino “segreto e nascosto” del Vangelo nei cuori delle persone, il tempo in cui Dio prepara la stagione dei frutti. Come il grano sepolto nel cuore della terra non andrà perduto, così i giorni in cui l’evangelo sembra inefficace e improduttivo non sono tempi di sterilità. Quale lezione per noi anche oggi... Troppo avvezzi/e alla rapidità dei processi e presi/e dagli ingranaggi della fretta e della logica della produzione, facciamo fatica a valorizzare i tempi lunghi in cui la Parola di Dio seminata resta sepolta, “invisibile”, “improduttiva”. Vorremmo vedere subito, se non proprio la spiga gonfia e matura, almeno un esile stelo. Ma questo non è l’orologio di Dio e questi non sono i tempi in cui la Parola di Dio penetra nei cuori, li feconda, li sollecita e li “apre” alla nuova vita. Chi non sa attendere e “adorare” l’azione sotterranea di Dio, finisce nella sfiducia. Ritira la mano e non semina più. Chi, invece, sa affidare totalmente a Dio i tempi della germinazione e della mietitura, continua a buttare manciate di frumento nella terra del proprio cuore e attorno a sé. In questo atteggiamento di totale affidamento all’azione di Dio, Gesù ci è maestro in modo inarrivabile. Egli ha seminato a piene mani e poi... ha lasciato che il vento disperdesse e che il sole di Dio facesse crescere. Noi siamo ancora oggi testimoni del fatto che, ciò che Gesù ha seminato, continua a crescere nelle vie del mondo e nei cuori di milioni di donne e di uomini.
“Attirerò a me”
Dopo secoli e secoli noi continuiamo a veder crescere campi di frumento, continuiamo a sentire come feconda la storia di quel chicco di frumento che Dio ha seminato in quel lontano paese del mondo, in quella Palestina allora povera, ora tormentata dalla violenza. Gesù è il chicco di frumento che Dio continuamente rende fecondo. La sua storia, povera e sconfitta, è la vicenda di un ebreo marginale che non trovò nessuna accoglienza presso le istituzioni ufficiali del suo tempo, che fecero tutto il possibile per neutralizzarlo. Anzi, capi religiosi e capi politici trovarono un perfetto accordo per farlo fuori. Eppure - ecco il “miracolo” di ogni giorno - Gesù continua ad attirare, ad attrarre, a rappresentare un segno straordinariamente vivo e significativo per milioni di uomini e donne. Molte manovre sono state compiute per annacquare il suo messaggio. Le gerarchie delle chiese istituzionali hanno tentato di bloccarlo in un sarcofago, di farne una mummia o una reliquia, di imbalsamarlo in solenni formulazioni dogmatiche, di usarlo per le loro manovre di potere. Spesso i dominatori delle chiese e del mondo si fregiano di crocifissi d’oro mentre arrostiscono i poveri o crocifiggono i deboli. Spesso un po’ tutti noi ci riferiamo a Gesù in modo un po’ troppo generico, senza davvero muovere i nostri passi sulla strada di Gesù. Ma Dio ha compiuto ciò che solo Lui può fare. Non soltanto ha donato a Gesù la vita nuova della resurrezione, beffandosi di chi lo aveva ucciso, ma ha reso costantemente viva e significativa l’esperienza di Gesù: la sua vita, il suo messaggio, la sua speranza. Sì, Gesù “attira a sé”! Egli non è una esperienza congelata nel passato, un messaggio sublime per pochi eletti. Lui, il profeta sconfitto, l’annunciatore emarginato, l’uomo che non ha conosciuto né vittoria né successo, oggi è più vivo ed “attraente” che mai. Se riusciamo a farlo uscire dalle nicchie catechistiche e dogmatiche, a ritrovare il Gesù della Palestina, il profeta ebreo “scatenato” e fiducioso, se riusciamo a farlo uscire dalle sindoni e dai linguaggi della retorica teologica di troppe predicazioni domenicali, Gesù si presenta a noi con la forza di un messaggio intramontabile. Oggi, quando penso a lui, quando parlo di lui, sento nel mio cuore un fuoco. Dio mi ha fatto innamorare di Gesù. E sento che Gesù, spogliato dei panni sacrali di cui lo abbiamo rivestito, accende fuochi di vita e di fiducia in tante persone. Egli è un dito puntato, un invito caldo, una parola dolce e forte che indica la strada di Dio. Qualcuno in Vaticano mi condanna (senza conoscermi!) perché io “abbasserei” la persona e la funzione di Gesù. Mi sembra incredibile! Passo gran parte della mia vita a “narrare Gesù” e vedo migliaia di cuori aprirsi... Sono sempre di più “attratto” da questo profeta della Galilea, in cui ravviso per me e per noi cristiani/e il testimone di Dio per eccellenza (questo è il significato della metafora “figlio di Dio”).
(Questo contenuto è di proprietà di p. Franco Barbero)