PENTECOSTE - ANNO C
Commento alle letture del giorno Gv 14,15-26 – At 2,1-11 - Dal Cenacolo alla Strada
"Lasciamoci ardere dal fuoco di Dio, lasciamoci spingere dal vento dello Spirito"

Fratelli e sorelle, oggi non celebriamo una semplice tappa del calendario liturgico. Oggi non siamo qui per chiudere un tempo – quello pasquale – e passare oltre. No. Oggi ci è chiesto di fermarci. Di ascoltare. Di spalancare il cuore. Di lasciarci toccare da un avvenimento che, se lo accogliamo davvero, ha la forza di cambiare tutto. Oggi è Pentecoste. E Pentecoste non è solo un evento del passato, ma una sorgente viva, che ancora oggi continua a sgorgare.

Oggi Dio soffia. E il Suo soffio può entrare anche nelle stanze più chiuse della nostra vita. Nelle paure, nei fallimenti, nelle delusioni, negli angoli dove non lasciamo entrare nessuno, nemmeno noi stessi. Torniamo per un momento a quel giorno. A quel cenacolo. A quella stanza alta dove tutto era cominciato con l’ultima cena, e dove ora tutto sembra essersi chiuso. Cosa fanno i discepoli dopo la Pasqua? Si rinchiudono. Lo avevano già fatto dopo la morte di Gesù. Lo rifanno anche ora. Hanno paura. Paura degli altri, sì, ma anche paura del futuro. Paura di sé. Paura di non essere all’altezza. E allora si chiudono. Non sanno cosa fare. Hanno ricevuto delle promesse, è vero, ma sono promesse difficili da credere quando la vita fa paura. Hanno visto il Risorto, ma ancora non si sentono risorti. Non basta aver udito parole di speranza, se poi il cuore è ancora stanco, se il corpo è ancora tremante. E proprio lì, in quella debolezza, Dio sceglie di manifestarsi. Non quando sono forti, non quando hanno tutto chiaro. Ma quando sono poveri, confusi, incerti. Ed è allora che il cielo si apre. E accade qualcosa che nessuno avrebbe mai potuto prevedere.

Arriva un vento. Non una brezza leggera, ma un soffio impetuoso. Qualcosa che scuote le pareti. Qualcosa che fa rumore, che disturba, che non si lascia ignorare. E poi il fuoco. Lingue di fuoco che si dividono, che si posano su ciascuno. Fuoco che non brucia per distruggere, ma per illuminare. E qualcosa accade. Qualcosa cambia. I cuori si aprono. Le bocche si sciolgono. I piedi si alzano. Chi era chiuso, ora esce. Chi era muto, ora parla. Chi era fermo, ora cammina. Gli apostoli iniziano a proclamare le meraviglie di Dio. Ma lo fanno in tutte le lingue. E tutti capiscono.

Pentecoste è il momento in cui Dio ci insegna una nuova grammatica: non quella delle regole, ma quella della comunione. Non quella delle divisioni, ma dell’incontro. Non quella della paura, ma del coraggio. E il primo miracolo non è che gli apostoli parlano tante lingue. Il vero miracolo è che ciascuno li comprende. È la nascita di una nuova unità, non imposta dall’alto, ma generata dal basso, nella libertà dello Spirito. E non è una lingua “religiosa”, da iniziati. Non è una lingua riservata a chi ha studiato teologia. È la lingua della vita. È la lingua del cuore. È la lingua della compassione, della giustizia, della speranza. È la lingua del perdono, della misericordia, della tenerezza.

Ma c’è anche un’altra Pentecoste, quella più nascosta, più silenziosa. È quella che ci racconta il Vangelo di Giovanni. Lì non c’è il rumore del vento, né il fuoco che si vede. Lì c’è una stanza, anch’essa chiusa. È l’ultima cena. E Gesù parla. Sa che sta per lasciarli. Sa che i suoi sono turbati. Sa che presto si sentiranno soli, smarriti. E allora fa una promessa: “Io pregherò il Padre, ed Egli vi darà un altro Paraclito”. Un’altra parola strana: Paraclito. Vuol dire “consolatore”, “difensore”, “colui che sta accanto”. Un compagno di viaggio. Uno che non ti abbandona. Uno che ti ricorda le parole di Gesù, che ti guida, che ti consola nei momenti in cui tutto sembra crollare. Gesù non ci lascia orfani. E noi lo siamo, tante volte, o almeno ci sentiamo così. Quando le parole non bastano più. Quando le preghiere sembrano non salire. Quando ci sentiamo lontani da tutto e da tutti. Ma proprio lì, in quel silenzio, lo Spirito viene. Non sempre con il rumore del vento. A volte con un soffio leggero. A volte con una pace che non sappiamo spiegare. E ci ricorda una cosa semplice: che l’amore di Dio è fedele. Che non ci abbandona. Che cammina con noi. Che lo Spirito è dentro di noi, non come un ospite, ma come un respiro. E se ci lasciamo abitare da questo respiro, tutto cambia.

Gesù lo dice chiaramente: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti”. Ma quali comandamenti? Non fa un elenco. Non ci dà un manuale. In Giovanni il comandamento è uno solo: l’amore. Un amore che si fa gesto, che si fa scelta, che si fa carne. Non un amore astratto, sentimentale, ma un amore che si sporca le mani. Che si inginocchia per lavare i piedi. Che si ferma per ascoltare chi è rimasto indietro. Che si alza per difendere chi è calpestato. Che si ferisce per guarire. E questo amore, diciamocelo con onestà, non riusciamo a viverlo da soli. Possiamo desiderarlo, sì. Ma viverlo, concretamente, giorno dopo giorno? No, senza lo Spirito è impossibile. Perché da soli torniamo sempre a chiuderci, a difenderci, a giudicare. Solo lo Spirito può sciogliere le nostre rigidità. Solo lo Spirito può aprire le finestre della nostra anima.

Allora oggi, fratelli e sorelle, Pentecoste non è ieri. È adesso. È ogni volta che lasciamo che lo Spirito soffi nella nostra vita. È ogni volta che diciamo sì all’amore, anche quando costa. È ogni volta che scegliamo di fidarci, anche nel buio. È ogni volta che ci lasciamo spingere fuori, oltre i nostri confini. Pentecoste accade quando una madre non cede alla disperazione per un figlio lontano, ma continua ad amare. Quando un giovane decide di servire, invece che cercare solo successo. Quando una comunità sceglie di accogliere, e non di escludere. Quando la Chiesa non si ripiega su se stessa, ma si apre alle strade del mondo e alla società. Pentecoste è ogni volta che, anziché costruire muri, costruiamo ponti. Ogni volta che smettiamo di chiederci “chi ha ragione” e iniziamo a chiederci “di chi è il dolore che posso sollevare?”.

Pentecoste è un fuoco che non distrugge, ma accende. È un vento che non abbatte, ma spinge. È una voce che non comanda, ma invita. È una luce che non acceca, ma guida. È un abbraccio che non trattiene, ma manda. E allora, oggi, lasciamoci ardere. Lasciamoci spingere. Lasciamoci cambiare. Smettiamo di pensare che lo Spirito sia qualcosa per pochi eletti. È per tutti. È per ciascuno. È per te. Sì, proprio per te, che forse ti senti stanco. Che magari ti senti lontano. Che non sai da dove cominciare. Comincia da qui: lascia entrare lo Spirito. Chiedigli di insegnarti l’amore. E seguilo. Anche se non sai dove ti porterà. Perché lo Spirito non dà mappe, ma dà una bussola. E la bussola è l’amore.

Così sia. Amen.

(Questo contenuto è di proprietà della Chiesa Vetero Cattolica Riformata)


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